Non ricordo quando ho deciso di prendermi un periodo di pausa. A dirla tutta non ricordo nemmeno di aver deciso di prenderlo.
Mi sono, semplicemente, distratta.
Pensavo che, con il part time, avrei ridotto i ritmi di lavoro e, quindi, tutto sarebbe stato più semplice e rilassante, una vera pacchia, tempo per la mia famiglia, gli amici e tutte quelle cose che di tempo non ne hanno avuto mai: cucinare, leggere, sistemare il giardino, o scrivere, giusto per ricordarne alcune.
Poi sono diventata improvvisamente padrona del mio tempo e dei miei spazi e tutto si è dilatato, sono come stata sparata in un’altra dimensione.
Il lavoro, che fino ad allora aveva occupato una fetta così ampia e invadente della mia vita, improvvisamente se ne stava accucciato in un angolino e io non sapevo bene come fare.
Lo so che adesso vi sembro una povera pazza che non si merita tanta fortuna, ma essere improvvisamente libera di gestire e organizzare il mio tempo, dopo aver passato anni, quanti?, diciamo più di 20, tra università e lavoro, a organizzare la vita nell’unico modo possibile, cioè tra un turno e l’altro, mi ha lasciato interdetta.
E adesso?
Mi sono lasciata distrarre da quello che mi capitava intorno, guardandolo con occhi diversi, sicuramente più riposati e non appesantiti dal troppo copriocchiaie che cercava di cancellare le notti di turno e di reperibilità.
Visto da fuori il declino rovinoso del SSN sembra ancora più inevitabile di quanto non sembri quando sei completamente coinvolto nel meccanismo. Non ho niente di nuovo da dirvi, rispetto a quanto non sappiate già: manca il personale, il materiale e pure le motivazioni, è in corso una fuga dal pubblico al privato di pazienti e personale, che non ha precedenti in passato. Ormai la situazione è talmente insanabile che ne stanno parlando anche i mezzi di comunicazione, il chè significa che è davvero finita, non si tratta più di cronaca, ma di romanzo storico.
Gli operatori affrontano la situazione nei modi più diversi, anche se, in realtà, la maggioranza è disillusa e vagamente rassegnata e si trascina tra un turno e l’altro sperando che, prima o poi, cambi qualcosa, anche se poi non cambia niente e alla fine li aspetta il solito turno di merda, ma almeno è un turno di merda in meno che li separa dalla pensione.
Ci sono anche, a onor del vero, i pochi duri e puri, quelli che non si arrendono mai, che pensano ancora in una svolta positiva, in una improvvisa sterzata che ci riporterà tutti vivi, sani e salvi a svegliarci nei nostri letti sudati e affannati, come dopo un brutto incubo, ma siamo svegli ed è tutto finito. No, qui non finisce proprio un bel niente.
C’è, poi, chi si trasferisce in Trentino, Dubai, o Marte da solo, o con tutta la famiglia, per stipendi che vanno dalle 3 alle 10 volte lo stipendio medio di un ospedaliero, con benefits hollywoodiani: corsi di lingua, di formazione, università gratuita per i figli, case, libri, auto, viaggi e fogli di giornale. Nessuno sa esattamente dove vadano davvero e quanto siano reali le loro narrazioni, ma indietro non torna mai nessuno, quindi mi viene da pensare che là fuori, magari, non ci sarà l’Eldorado, ma, comunque, si sta meglio che qui.
A coprire tutti gli enormi buchi di questa tela sempre più lisa si sono inseriti i gettonisti, specialisti freelance, o organizzati da cooperative del settore, che, a partita IVA, coprono turni a gettone negli ospedali pubblici che ne hanno bisogno, cioè, tolti i grossi centri regionali, tutti gli ospedali di piccole e medie dimensioni.
Si tratta di colleghi in pensione, alcuni prossimi alla tumulazione, altri, invece, giovani e dinamici che nel SSN non si sono nemmeno affacciati, o ci sono stati per un periodo breve, ma sufficiente per capire che non fa per loro. Leggende ospedaliere narrano che i gettonisti percepiscano compensi orari faraonici, ma tra assicurazioni private salatissime, viaggi e pernottamenti non rimborsati e vite da nomadi erranti della Sanità, non mi pare che facciano esattamente una vita meravigliosa. Tutto ciò senza parlare di quanto sia deleterio e sfiancante per noi ospedalieri interfacciarsi con queste nuove figure, che coprono i turni più ambiti, ovvero le 8 ore mattutine di routine, lasciando a noi ospedalieri, reduci del Vietnam, i turni peggiori: pomeriggi, notti, fine settimana e reperibilità, come a dire che, mentre loro mangiano caviale (magari caviale non proprio, diciamo uova di Lompo) dalla nostra dispensa, noi rosicchiamo pane secco.
In mezzo a tutto ciò i pazienti, ormai non più ignari, ma ugualmente bisognosi di attenzione e di cura, che non dovrebbero fare le spese di decenni di gestioni scellerate, ma si ritrovano a farne i conti: liste d’attesa eterne, mancanza di continuità assistenziale, carenza di uomini e mezzi, cavallette e pioggia di rospi.
C’è chi comprende e capisce le difficoltà e chi, invece, vede negli operatori non una vittima con una faccia diversa, ma un nemico complice dello sfacelo, qualcuno contro cui prendersela, qualcuno da insultare, aggredire, al limite da denunciare.
Alla luce di questo quadro desolante in questi mesi ho pensato molto se non fosse il caso anche per me di cambiare, andarmene, fare la gettonista (magari proprio nel mio ospedale, sai le risate?), o fare proprio tutt’altro. Ci ho pensato seriamente, ve l’assicuro, eppure non ce la faccio proprio e prendere un po’ di fiato dalla guerriglia mi ha fatto capire alcune cose. Innanzitutto non potrei mai fare la casalinga, mi annoia a morte e non ci sono manco troppo portata, sono un anestesista rianimatore e voglio fare l’anestesista rianimatore e se sei abituato a stare in trincea difficilmente starai bene in un salotto buono, magari puoi starci per periodi più brevi, in modo non così vampirizzante, ma mai lontano per sempre. La scelta e la possibilità di lavorare meno non è solo, come vuole una lettura misogina, dettata dalla necessità di seguire i figli e la famiglia, le mie figlie sono grandi abbastanza per arrangiarsi e per non volermi troppo tra i piedi, ma solo per poter godere di ore vita che voglio spendere per altro, con energie che prima non riuscivo ad avere. Per cucinare, leggere, fare volontariato.
E scrivere.